Come dopo il primo turno un elenco puntato sintetico di cose che mi va di condividere sulle presidenziali francesi, culminate con l’elezione di Emmanuel Macron. Alcune più generali – grazie all’aiuto anche di buone letture, provenienti da diverse fonti -, altre più specifiche e rivolte a chiunque voglia provare a dibattere del futuro dell’Europa, e della politica, fuori dagli schemi eccessivamente rigidi che mi sembra siano proposti in questi giorni.
1. Cinque anni dopo. Tutto è cambiato, poco è cambiato.
“I cittadini francesi il 6 maggio hanno scelto il cambiamento […]” “Sono orgoglioso di aver restituito speranza […]” “Sarò il presidente di tutti i francesi, non ci sono due paesi che si affrontano, ma un unico paese unito per un futuro migliore” “Tutti i francesi verranno trattati secondo uguaglianza, di diritti e di doveri”.
Nel 2012 – di fatto un’era geologica fa – François Hollande parlava così nel suo primo intervento da Presidente, la sera stessa della sua vittoria. I Socialisti tornavano all’Eliseo dopo un lungo purgatorio politico e ci arrivavano con un programma che tutti interpretavano come fortemente “di sinistra”. Le aspettative erano alte, le analisi degli editorialisti e le prime pagine dei giornali in giro per l’Europa piene di entusiasmo. A distanza di cinque anni il bilancio di quell’esperienza di governo (tormentata dal terrorismo, venata di scandali personali, segnata dall’incapacità di dare corpo alle promesse elettorali) é gravemente insufficiente. Il cambiamento annunciato non ha preso forma, nè dentro i confini francesi nè su scala europea. La speranza si è poco alla volta trasformata in frustrazione, segnando una distanza sempre maggiore tra i cittadini e chi di quella trasformazione si immaginava portatore. Hollande è diventato il primo presidente a non potersi ricandidare al termine del primo mandato. Non esistevano più le condizioni per una sua rielezione, ritenuta addirittura sconveniente. Il PS si è liquefatto, dal punto di vista del consenso nelle urne (non solo per colpa del candidato Hamon) e nella propria struttura organizzativa.
Emmanuel Macron (e, in modo diverso la stessa Marine Le Pen) hanno sfruttato lo scarto evidente tra aspettative (alte) e risultati (scarsi) diventando – con linguaggi e orientamenti opposti – i promotori di una netta discontinuità rispetto al recente passato. E’ un dato che il vocabolario della politica non sia pieno di sinonimi pronti all’uso. Macron si propone quindi da Presidente appena eletto – su basi molto meno ampie e solide, la fiducia è infatti un bene fortemente deperibile – come promotore di, ecco la ripetizione più ovvia, cambiamento e speranza. E’ legittimo chiedersi come riuscirà nell’impresa di sfuggire dalle secche dello storytelling da startup innovativa che fino a oggi lo ha accompagnato. Certamente non ci riuscirà da solo, così come non potrebbe farlo nessun’altro nella sua posizione. La politica è un “gioco” collettivo, non dobbiamo dimenticarcelo.
2. Guardare a fondo il fenomeno Macron.
In questi giorni si è scritto e detto molto del “capolavoro” messo a segno dal leader di En MArche! Dodici mesi per passare da Ministro dell’Eocnomia dimissionario e in fuga dal proprio partito (una nave che imbarcava acqua, ma sempre una struttura diffusa sull’intero territorio nazionale) a Presidente della Repubblica e – auspicata – àncora (?!?) di salvezza per l’Europa alla deriva. Un risultato elettorale incredibile nella forma e nelle proporzioni, che però lascia spazio a qualche dubbio e necessita di alcune domande aggiuntive per infilarsi sotto la superficie del fenomeno Macron ed En Marche!
Qui sotto raccolgo le quattro osservazioni più pertinenti e utili ad aggiungere qualche dettaglio a un quadro che rischia pericolosamente di essere raccontato come fantasia a tinta unita.
Christian Salmon | Emmanuel il re bambino che farà dell’Eliseo una startup | La Repubblica
“Macron è un buco nero. Macron ha scavato un buco nero nel quale la classe politica si è riversata. Non è un demolitore come Renzi, è una lavatrice. Ha lavato e sbiancato tutto l’organico politico screditato. La start-up Macron ha ricomprato al ribasso le vecchie glorie degli ultimi tre quinquennati e li ha fatti sparire sotto la bandiera del Rinnovamento. Ha sbiancato la funzione presidenziale e le sue cerchie di fedeli. Nello stesso esatto modo col quale il marketing si comporta con i brand che invecchiano. Si tratta di un processo alchemico complesso, che consiste nel fondere il racconto originario del brand e i segni del passato in una nuova rappresentazione simbolica. Farla finita con il discredito per ritornare a essere una promessa. Ecco il vero significato del “rebranding” della funzione presidenziale operato da Macron. Da padre della Nazione a re bambino. Da monarca a performer. Dalla funzione presidenziale alla fiction presidenziale. Dallo Stato alla Start-up. Con “En Marche” Emmanuel Macron ha polverizzato il sistema dei partiti e ha conquistato lo Stato. Ha fatto mutare la cultura politica francese sottomettendola alle regole e alle leggi del neoliberalismo.”
Gloria Origgi | Perchè Macron ha vinto| L’Espresso
“Ora vediamo se riuscirà a governare. Le previsioni per le legislative dell’11 e 18 giugno sono per ora estremamente vaghe. Ci sarà una sinistra che si schiera dalla sua parte. Ma non è detto che la destra faccia lo stesso, dato che ha la maggioranza al senato e può puntare su una coabitazione.
Ma se riesce a vincere anche questa battaglia, resta a Macron da spiegarci una cosa. La sua ricetta di socialismo liberale, basato su buone letture di John Rawls e Amartya Sen, ricorda tanto il New Labour di Tony Blair di esattamente vent’anni fa. Ma se la Terza Via non ha funzionato a quell’epoca e ci ha portati al disastro attuale, perché dovrebbe funzionare oggi?”
Alessandro Gilioli |Macron: la paura e la speranza | L’Espresso
“Lo paragonano a Obama, ma Obama nel 2008 era hope, speranza. Tutto il contrario. Nessuno aveva paura del povero McCain. Auguro fortemente alla Francia e all’Europa e a tutte le democrazie di poter tornare un giorno a votare per un progetto, per un programma, per una speranza. Non per paura. Che la paura, diceva Frank Herbert, uccide la mente.”
3. Cosa resta sullo sfondo? Astensione, schede bianche, disaffezione. E un’Europa e una democrazia ancora malate.
Lo ha spiegato benissimo nella sua analisi (sopra riportata) Francesco Maselli. Emmanuel Macron ha giocato – e continuerà a giocare – una partita rischiosa. Il perché sta tutto dentro la scelta, per il momento vincente, di porre la sua fortissima personalità (“megalomania e vanagloria oppure senso e coscienza della storia?”, sempre Maselli) dentro un movimento dai tratti iperliquidi funzionale allo stato altrettanto fluido della politica e della società francese, europea e dell’intero Occidente. Strumenti e meccanismi comunicativi leggeri, capaci di surfare su onde che si muovono in direzione e con intensità molto variabili. Fino a ora EM lo ha saputo fare magistralmente. Dimostrando di saper gestire le continue incognite emergenti da un lato valorizzando la sua principale dote (l’estraneità, vera o presunta, all’establishment) e dall’altra non entrando mai davvero nello specifico delle sue proposte, che nella migliore delle ipotesi rappresentano enunciazioni di principio o poco più. Astensione e schede bianche (in forte aumento) unite alle motivazioni di voto (non tutte figlie di un forte riconoscimento) per la sua proposta sono segnali, non proprio latenti, di disaffezione crescente nei confronti della politica nel proprio insieme. Dentro questo sentimento – non solo francese – e il tentativo di dare ad esso una risposta credibile sta la vera questione del momento…
Massimo Cacciari, chiamato nei giorni scorsi a dialogare con Ferruccio De Bortoli, sfuggendo alle domande sul libro (caso editoriale del momento) del giornalista e allargando lo sguardo, ha messo a terra almeno tre elementi decisivi che faremmo bene a tener presente se abbiamo a cuore il destino della politica (e del suo ruolo) e della democrazia, oggi in evidente e avanzato stato di crisi. Riporto le sue parole.
1) “Il problema vero [andando oltre i casi specifici, in questo caso quello legato alla Ministra Boschi e Banca Etruria], e che si affronta sempre malamente, è l’intreccio apparentemente sempre più indissolubile tra affari e politica. Non funziona più quella che un tempo si chiamava autonomia della sfera politica. Non è più come nello stato dei partiti – che, bene o male, erano delle organizzazioni di massa -, qui ormai siamo al livello di persone che intrallazzano tra affari e politica. Questo è un disastro, questo è un problema di struttura e di sistema.”
2) [A proposito della vittoria di Macron] “E’ debole l’Europa. E’ nato questo “sole” (Macron) in Europa, ma guai a noi se questo significa ricadere nell’illusione che l’Europa possa fondarsi sull’asse franco/tedesco, perché questo significherà comunque una crisi dell’assetto europeo. Sento rinascere quest’illusione di un’Europa che può fare a meno del Mediterraneo.”
3) “La democrazia è un sistema di vasi comunicanti. Per quanto autonomo tu ti voglia proclamare sei in comunicazione, perché la democrazia é dialogo, é dialettica. Quando una delle parti tace, o parla male, o vaneggia, o delira l’altra si rafforza automaticamente. Questa è la democrazia. Quindi, la democrazia è un sistema per cui tutti siamo forti. Se uno solo degli elementi si indebolisce si rafforza l’altro, anche se non ne ha le capacità e non per suo merito. E questo combina disastri.”
Buoni consigli anche per le prime mosse di Macron.