
C’è una storia che ci aiuta a descrivere il fenomeno della consegna a domicilio e delle sue più evidenti criticità. Il 2 ottobre 2022 Sebastian Galassi viene investito e ucciso da un suv mentre con il suo motorino lavorava per una nota azienda di food delivery. Il giorno dopo quella stessa piattaforma invia al suo collaboratore (a quel punto già morto) un asciutto messaggio digitale che gli comunica la sospensione del rapporto.
Quello di Sebastian è certamente un caso estremo – sono numerosi però gli infortuni, anche gravi, di ciclofattorini – ma rende più chiaro il disallineamento tra la materialità del lavoro (che si svolge nello spazio urbano della città, moderna fabbrica diffusa) e l’intangibilità del cuore dell’economia di piattaforma, ossia quell’algoritmo che determina incrocio virtuoso tra domanda e offerta, tra richiesta del cliente e operatività dei vettori di consegna, che hanno in bicicletta, gambe e smartphone gli indispensabili strumenti di lavoro.
Cosa ci sia dentro il motore degli algoritmi delle principali piattaforme è difficile dirlo, visto che sono protetti da segreto industriale, ma ciò che possiamo dire è che è l’ingrediente etico (oggi davvero scarso) quello che fa pendere il funzionamento dell’algoritmo verso lo sfruttamento, l’eccesso del controllo, l’abbassamento delle tutele oppure verso il rispetto delle professionalità e della dignità, la chiarezza dei diritti e della coperture assicurative e previdenziali.
La contrattazione con l’algoritmo, così come giustamente l’ha definita il Sindaco Ianeselli nel suo intervento in aula, riguarda oggi (fonte Inapp) più di mezzo milione di lavoratori e lavoratrici, di cui buona parte (ca. 275mila) riconoscono nell’economia di piattaforma la propria occupazione principale. Non lavoretti quindi, non riempitivi o ricerca di un reddito integrativo. Un frangente di forza lavoro che risulta invisibile ai più e che necessita di interventi specifici.
La tradizionale azione sindacale fa fatica a tener insieme una fattispecie così frammentata, la giurisprudenza con alcune sentenze pilota spinge verso il riconoscimento del lavoro subordinato e dell’inquadramento nel settore del commercio. In assenza di una legislazione complessiva e puntuale – sarà compito di Parlamento Europeo e Parlamento nazionale elaborarla – le amministrazioni comunali possono invece impegnarsi con interventi mirati alla comprensione del fenomeno e al sostegno delle rider e dei rider attivi sul loro territorio.
Così ha fatto Bologna con la nascita di Consegne etiche, modello cooperativo su scala municipale di consegna a domicilio che coinvolgendo tutti gli attori della filiera (amministrazione, produttori, negozi, rider e cittadini) mette al centro la sostenibilità di uno schema di produzione e consumo che non può scaricare tutti i costi sull’anello più debole – il lavoro precario – della sua catena del valore. Oppure come deciso dal Comune di Modena che nelle settimane scorse ha inaugurato uno spazio dedicato ai ciclofattorini, riconoscendo loro un luogo di ristoro, assistenza e relazione.
Con la mozione approvata in consiglio comunale a Trento nei giorni scorsi si decide di intervenire sulla prossimità, proprio partendo da questi due fronti.
La conoscenza del contesto quindi (attraverso uno studio che raccolga i numeri, le criticità, i bisogni, le possibili alternative) così da poter successivamente valutare iniziative coerenti alla realtà della nostra città. E insieme una “casa dei rider” che possa essere luogo di sosta e di incontro, di ricarica telefonica o del mezzo, di officina minima e informazione.
Mettersi in ascolto delle varie componenti della propria comunità sta alla base del far Politica. Farlo nei confronti delle parti più marginali e senza voce è un ulteriore valore aggiunto.