
“L’attaccamento viscerale a un presente rotto è una forza politica in grado di fermare la storia umana. […] Siamo umani, e se sentiamo di poter annegare, finiamo con il desiderare di farlo nell’acqua che conosciamo.”
La metafora è di Ferdinando Cotugno. La applica alla crisi climatica e alla tentazione di star fermi aspettando che passi la tempesta. Un’illusione mentre l’acqua da un lato sale minacciando l’abitabilità di intere aree del pianeta; dall’altra scivola, scura, lungo i pendii portando con se morte e distruzione e dall’altra ancora manca assetando milioni di uomini e donne.
Un discorso simile vale per la Politica e le condizioni sempre più deteriorate dell’ecosistema dentro cui dovrebbe esercitare un ruolo di attivazione e rappresentanza. In una recente indagine emerge che il 70% della popolazione (donne e ceti popolari in particolare) si dice non soddisfatta del funzionamento della democrazia italiana. Il recente rapporto Censis descrive invece una società “dentro uno stato di latenza” – non crolla, ma non riparte – che deriva dal sentirsi impotenti di fronte alla somma di pandemia, guerra, crisi energetica e spinta inflazionistica. Troppo per coltivare speranze.
La malinconia – ci ricorda lo scrittore Diego Da Silva – è diversa dall’angoscia (che è senso di “indignazione e disperazione”) perchè “non nega un futuro ma lo implica”. Anzi lo richiede, per restituire pensabilità alla realtà, oggi messa alla prova da un catalogo di rischi di portata apocalittica. A questo spiraglio di possibilità mi appello anche quando guardo alla situazione del centrosinistra trentino in avvicinamento alla scadenza elettorale del 2023.
Saremo in grado di raccogliere la sfida al massimo livello oppure sarà l’inerzia a prendere il sopravvento? Resteremo bloccati in attesa degli eventi o decideremo di elaborare uno spartito alternativo? Per sommi capi, sempre su Il T, ho lanciato l’idea di andare oltre le dinamiche politiche cui siamo abituati perchè insufficienti e inefficienti.
Qui tento di fare un passo in più, con una proposta operativa che si muove attorno a quattro passaggi.
UNO. MOBILITARSI. L’Autonomia e l’autogoverno non sono “solo” strumenti istituzionali per la buona amministrazione, ma – se in buona salute – il modo responsabile e cooperativo di prendersi cura della comunità di cui si fa parte. Come ha dimostrato l’incontro dello scorso 3 dicembre sui temi del welfare di prossimità esistono significativi pezzi di cittadinanza disponibili a mobilitarsi se la proposta loro rivolta è chiara, sincera, strutturata. Perchè allora a metà gennaio non lavorare (tra forze politiche, mondi sociali, cittadinanza attiva) per uno o più momenti di elaborazione che puntino alle prossime elezioni provinciali con ritrovato entusiasmo? Primo mobilitare e mobilitarsi, socializzare e riconoscersi. Farsi popolo in cammino.