
[Testo composto in risposta ad alcune lettere comparse sul quotidiano l’Adige in seguito all’editoriale Occuparsi della guerra. Farsi carico della pace]
Papa Francesco anni fa descrisse il mondo come attraversato da una “guerra mondiale per capitoli”. La metafora riguarda la geografia (ci si confronta militarmente nel nord Africa e nel vicino Oriente, in Afghanistan e sui confini contesi di Taiwan, di nuovo in Kosovo e – lo sappiamo – in Ucraina), i grandi temi di questo tempo (le risorse che scarseggiano, la sfida tecnologico, la gestione dei flussi migratori) e l’idea stessa di convivenza (ci si spara nelle scuole americane, si uccidono mogli, compagne o figlie in casa, si aggredisce per strada per uno screzio o per razzismo).
La proliferazione delle armi è quindi un fatto inevitabile, se non addirittura una “dimensione naturale”, della nostra realtà?
Mi permetto di dissentire. Non possiamo accettare che la violenza e l’uso della forza possiedano un totale e non contendibile primato rispetto a modi alternativi di risolvere i conflitti, siano essi familiari o planetari.
Quando nei primi giorni dell’invasione mi capitò di discutere con Luigi Ferrajoli mi convinse molto la sua idea di una Costituzione della Terra basata su tre grandi assi: giustizia sociale e ambientale , riconoscimento di una cittadinanza planetaria (che si somma e non sostituisce a quella nazionale, facendoci sentire un unico popolo), gestione sovranazionale delle controversie e della programmazione del futuro. Una prospettiva, la sua, che non va intesa come un’utopia per visionari ma va elaborata come l’unica strategia possibile, pena l’ulteriore peggioramento delle condizioni del pianeta Terra.
L’ipotesi che sostengo è quindi quella di una nuova stagione del dialogo politico (a un nuovo multilateralismo si rifà da mesi il politologo Mario Giro), del confronto tra diversi e distanti più che tra gli amici, del compromesso da cercare ostinatamente dentro scenari complessi e incerti.
Mi si dirà che è una strategia velleitaria di fronte all’aggressione di Putin e della Russia, che – non solo in Ucraina – usa e ha usato il terrore come strumento di conquista e annientamento.
Mi preme però a questo punto invertire la domanda. Quali sono le garanzie di pacificazione che offrono l’ultimo ritrovato dell’industria dei droni, il più efficiente lanciarazzi multiplo, l’invisibile jet atomico nucleare, l’avveniristico razzo ipersonico?
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