
(articolo pubblicato all’interno del blog ImpactBlog, curato da Impact Hub Trentino sull’edizione online del quotidiano l’Adige)
Sedici chilometri separano Lavis da Mattarello. Da solo il dato potrebbe apparire irrilevante, ma non si può dire altrettanto se lo si usa per comparare diversi agglomerati urbani. Sedici chilometri – metro più metro meno – è infatti la distanza che bisogna percorrere per andare dall’EUR allo Stadio Olimpico a Roma o dal sito di Expo all’Idroscalo a Milano. L’estensione longitudinale (direzione Nord-Sud) di una città di montagna – come Trento – equivale al diametro delle due principali metropoli italiane. Contesti certamente diversi che condividono la sfida organizzativa della mobilità.
Per la città di Trento – ed è proprio da qui che parte la ricerca e la progettazione di Campomarzio – si aggiungono altri tre temi utili alla definizione dei contorni dell’analisi offerta da TuttoCittà2026. Il primo riguarda la distribuzione altimetrica degli abitanti, che negli anni si è orientata verso la collina, zona che oggi ospita circa il 40% dei residenti, oltre a una cospicua quantità di lavoratori pendolari e studenti universitari. Il secondo e il terzo sono tra loro fortemente collegati. Fanno riferimento all’anzianità della riflessione e dell’azione sulla gestione degli spazi urbani cittadini e delle infrastrutture a essi connesse (parliamo di interventi precedenti al boom economico e automobilistico oltre che all’aumento della popolazione, stanziale e temporaneamente presente sul territorio) e alla parzialità e non organicità delle attività di manutenzione e riqualificazione urbanistica proposte negli ultimi decenni.
“Serve un ragionamento che alzi la scala della progettazione” – dicono Daniele Cappelletti e Alessandro Busana. E proseguono: “L’architettura deve riuscire a prevedere cosa si potrà fare, non assecondare il susseguirsi delle emergenze.” TuttoCittà2026 risponde a questa esigenza riuscendo a utilizzare il driver della mobilità – e in particolare la ristrutturazione complessiva del servizio pubblico urbano – come strumento di riflessione a tutto tondo sulla città, descrivendo le caratteristiche di un progetto che tenta di attivare processi di coesione sociale garantendo migliore accessibilità alla cittadinanza, che “ricuce parti del suo territorio riutilizzando infrastrutture esistenti”, che propone un paradigma che “punta a ridurre i flussi di traffico privato agendo in maniera strutturale sul sistema della mobilità”.
Nan Ellin, una delle maggiori esperte di integral urbanism, afferma: “Abbiamo il compito di costruire città in modo tale da sviluppare le comunità e l’ambiente che in ultima analisi sostiene tutti noi. Non è un compito facile. Ma è essenziale.” Un approccio all’urbanistica che supera i confini dell’urbanistica. Leggi il seguito di questo post »