Avevo iniziato a scrivere questo breve pezzo sabato, dopo lo show contro Andy Murrey. Non cambiano contenuto e tono oggi, passata la finale 2015 di Wimbledon con Novak Djokovic vincente su Roger Federer in quattro set. Un match che – visto, tribolando, in streaming – non mi è sembrato mai veramente in discussione, con la “normale” costanza ad altissimo livello del gioco del numero 1 serbo capace di tenere a bada alcuni picchi di rendimento di Federer. Cambi di ritmo, variazioni d’angolo, veri e propri ricami a rete che sono stati meravigliose parentesi dentro lo spartito lineare di geometrie, potenti colpi da fondo e prodigiosi recuperi di Novak Djokovic. Risultato giusto quindi, che non toglie però nulla alla dimensione leggendaria della figura di Roger Federer.
Ci si potrebbe soffermare sui numeri, frutto di una carriera capace di smantellare un’infinità di record. Ma non basterebbe. Allora sarebbe il tempo di concentrarsi sui trentaquattro anni da compiere e la capacità di competere ancora ad altissimo livello, in uno sport che – escluse rarissime eccezioni – non riserva da anni grandi fortune a chi supera la soglia dei trent’anni. Aspetto importante anche quello anagrafico quindi, ma solo per aggiornare le statistiche. La potenza immaginifica che Federer emana – quella che David Foster Wallace tratteggiava come una vera e propria “esperienza religiosa” – ha radici più profonde, che superano i fatti (persino le vittorie e le sconfitte) e trascendono nei sentimenti.
Di Roger Federer non si è tifosi, non può essere sufficiente. Si è innamorati di gesti che sanno coniugare mirabilmente pulizia, potenza e precisione, fantasia e efficacia. Un’equazione dalle mille incognite, che Roger ha dimostrato di saper sempre risolvere a suo vantaggio. Leggi il seguito di questo post »