Articolo pubblicato su Il T, domenica 14 aprile 2024
Sono passati sei mesi dai feroci attacchi condotti da Hamas in alcuni kibbutz israeliani posti a nord della Striscia di Gaza. Le immagini di quelle ore, testimonianza di violenze efferate, ci hanno raggiunto lasciandoci sgomenti.
Un tale carico di violenza non ha impiegato molto ad attivare i suoi effetti nefasti. Nei centottanta giorni successivi, e anche ieri nella giornata in cui anche a Gaza terminava il periodo di Ramadan, davanti ai nostri occhi si è dispiegata la reazione militare dello Stato d’Israele su di un fazzoletto di terra (360 kmq di estensione, venti volte meno della provincia di Trento) nella forma di una sproporzionata azione militare che anche in questo caso ha visto come vittime ampiamente maggioritarie – tra le oltre 30.000 che contiamo fino ad ora – uomini, donne e bambini con nessuna altra “responsabilità” oltre a quella di essere nati e cresciuti in uno spicchio sbagliato del Mondo, tormentato da indicibili sofferenze senza un impegno sufficiente per cambiarne il destino e per intraprendere un percorso credibile di pacificazione e giustizia.
Oggi ci sono tristemente familiari – dopo anni di sguardo colpevolmente rivolto altrove – il posizionamento dei valichi di ingresso a Gaza (Erez a nord e Rafah verso l’Egitto), i nomi delle città che compongono la Striscia (le martoriate Gaza City e Khan Yunis su tutte) e degli ospedali bombardati (Al-Shifa), le storie delle organizzazione che più si sono spese in un contesto così difficile, come nel caso di World Central Kitchen che ha perso recentemente in un raid sette dei suoi operatori sul campo.
L’attacco del 7 ottobre e i successivi assedio e invasione della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano non si inseriscono però in un tempo neutro e privo di criticità, di fatiche e di conflitti.
Anzi.
Il caos che osserviamo oggi è istantanea fedele della storia recente di un Pianeta che subisce con eccessiva frequenza “infarti” politici e militari, ecologici e umanitari che ne minano gravemente la stabilità e la prospettiva. Ogni volta che – ricordando le tragiche sorti del Novecento – ci promettiamo“mai più”dobbiamo premurarci che tale affermazione non si riduca a formula retorica ma corrisponda invece all’applicazione concreta di una memoria generativa, capace di imparare dal passato perchè non si ripetano gli stessi errori nel presente e nel futuro.