
Non portateli qui. Non nel mio quartiere. Faranno solo casino. Abbiamo già abbastanza problemi. Mandateli altrove.
Esiste un riflesso condizionato che da un po’ di tempo colpisce le comunità locali e rischia di farle reagire sempre con lo stesso vocabolario e tono alle diverse sollecitazioni che le riguardano. All’avvicinarsi di qualcosa e/o qualcuno a quelli che si riconoscono come i propri confini identitari si levano voci di sdegno e accusa, si raccolgono firme per “opporsi a”, ci si mobilita per respingere, per tenere fuori.
Si inserisce in questo rigoglioso filone – giornalistico da un lato e di opportunismo politico dall’altro – anche il caso sollevato nei giorni scorsi attorno alla possibilità che il Punto d’Incontro, dal 1979 realtà impegnata per il sostegno ai senza fissa dimora, trovi temporanea ospitalità per la sua mensa e i suoi servizi (i lavori di ristrutturazione della storica sede inizieranno nel 2024) presso gli spazi oggi vuoti delle scuole Bellesini nel quartiere di Cristo Re.
Non voglio qui giudicare le preoccupazioni dei singoli cittadini, che al contrario – come amministratori pubblici – abbiamo il compito di ascoltare, interpretare, prendere in carico. E’ d’altro lato evidente che ogni volta che dentro un contesto urbano si inserisce un nuovo e diverso elemento (sia essa una scuola, un centro sociale, un dormitorio) questo innesto va fatto con particolare attenzione, lavorando perchè quella variabile non pregiudichi la convivenza e la vivibilità. Le comunità sono infatti sistemi di relazioni ed equilibri fragili, che non possono essere mai dati per scontati e che vanno costantemente manutenuti, implementando quelle che potremmo definire “politiche della prossimità e della cura”. Un investimento questo – in coesione e tenuta sociale – oggi ancora più urgente di fronte all’ampliarsi delle diseguaglianze e al moltiplicarsi delle fragilità.
Tornando al caso specifico la cosa che più mi ha colpito e che mi ha convinto a scrivere queste poche righe è stato il livello di ostilità pregiudiziale che emergeva nelle parole degli intervistati. Abito nei dintorni di corso Buonarroti da poco meno di due anni e pur con poco tempo a disposizione le mie esplorazioni urbane (dalle scuole al giornalaio, dai diversi bar attivi ai pochi negozianti rimasti, dai parchi alle piste ciclabili) mi hanno permesso di farmi l’idea di un quartiere che avrebbe bisogno di ragionare su se stesso, sulle proprie mancanze e sui desideri e le opportunità che ne dovrebbero fare da contrappeso. Pur senza una vera piazza a disposizione mi sembra esistano interessanti reti sociali, vitali e appassionate. La penuria di servizi culturali dopo la perdita del cinema Astra è invece un problema non semplice da affrontare. La recente apertura di un emporio solidale presso gli spazi della parrocchia indica allo stesso tempo il riconoscimento di qualche fatica nella comunità e la voglia di sortirne insieme, collaborando e aiutandosi vicendevolmente.
Ecco allora che propongo di smontare le barricate che vedo già pronte all’uso e di rimettere al centro migliori forme di dialogo e confronto, un compito che giocoforza spetta all’Amministrazione comunale. Da questo punto di vista vale la pena di allargare lo sguardo, in termini di funzioni e prospettive di utilizzo, sul recupero dell’edificio delle scuole Bellesini.